Il mondo inciso

Relazione presentata in occasione della mostra delle opere di Bianca Braccini Wolkenstein, Silvia Papucci, Olivia Pegoraro e Melania Vaiani.

L’evento che mi accingo a presentare suscita, a mio avviso, non pochi elementi di interesse. Non è frequente, oggigiorno, poter assistere ad un evento dedicato esclusivamente all’arte dell’incisione, che raduna un numero di artisti contenuto e, per giunta, tutto al femminile. Capita di assistere a mostre collettive dedicate all’incisione, sebbene in misura minore di quanto accada per altre espressioni artistiche, come la pittura e la scultura. Tuttavia, esse appaiono a volte dispersive, sia per il numero di artisti coinvolti, sia per l’eterogeneità delle tematiche trattate e delle tecniche impiegate.

Oggi ci viene offerta l’opportunità di indagare quattro personalità, ormai formate a tutto tondo e perfettamente autonome, in modo da poter indugiare su ciascuna di esse e sul loro modo di interpretare la tecnica. È anche un’opportunità per vagliare le possibilità offerte dall’arte contemporanea. Ma consente anche di cogliere le indiscutibili somiglianze tra loro e nel contempo di considerare le diverse sfaccettature di questa difficile arte.

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Proprio da questo desidero partire: dall’incisione. Che cosa si intende per incisione? È bene chiarirlo e ciò non solo a beneficio di coloro i quali per la prima volta si accostano a questa disciplina, ma anche per marcare quella che è il carattere distintivo di una forma di espressione che rivendica autonomia nel sincretismo contemporaneo delle tecniche e dei linguaggi.

La prima formulazione di cosa sia incisione è stata proclamata nel 1937 dal Comité National de la Gravure, all’Esposizione Internazionale di Parigi. Il testo di quella risoluzione, servito successivamente da base per altre dichiarazioni, stabiliva che, da quel momento, “dovevano essere considerate come incisioni, stampe, litografie originali, i fogli stampati in bianco e nero o a colori, da una o più matrici, interamente concepite ed eseguite a mano dallo stesso artista qualunque fosse la tecnica impiegata, con l’esclusione di qualsiasi procedimento meccanico o fotomeccanico“.

Tale dichiarazione è stata integrata da quella promulgata al Castello Sforzesco di Milano nel 1994, che non solo ribadiva le affermazioni della Dichiarazioni parigina del 1937, ma aggiungeva anche che “l’immagine incisa sulla matrice deve seguire la sintassi linguistica propria dell’incisione, e cioè un appropriato e intenzionale uso delle tecniche specifiche“; ed ancora “Qualunque stampa che riproduca un modello, ottenuta con mezzi fotomeccanici, o con altri mezzi non manuali, di qualsivoglia tipo, non può essere chiamata “originale” (e neppure “originaria” o “litografia autentica”)”. Dunque è considerata arte, ma non incisione, l’opera riproducibile realizzata con mezzi fotomeccanici.

[…]Olivia nasce incisore, fin dall’Accademia di Belle arti. E devo dire che si tratta di un artista particolarmente attenta non solo al linguaggio espressivo, ma soprattutto alla tecnica a cui ha da sempre rivolto una ricerca particolare.

Difficile tracciare sinteticamente un percorso della carriera stilistica di Olivia Pegoraro: direi però che può bene essere riassunta nel contrasto, può volte conciliato, tra la frammentazione dell’immagine che solo l’incisione consente di realizzare compiutamente e l’unità emotiva del linguaggio. Le sue opere pervase dal dualismo luce-tenebra del chiaroscuro lasciano apparire e dissolvere visi e sguardi che diventano così visioni-archetipi alchemiche dell’animo dell’uomo moderno, dominato da turbamenti e da una incessante riflessione sulla sua tragica esistenza[…].

 

Marco Gobbato . Galleria Art U’ Vicenza, febbraio 2012.

 

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