Maurizio Biagi

 

 

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presentazione a cura di Paolo Marini

Maurizio Biagi vive all’Impruneta, in provincia di Firenze dall’età di 4 anni, quando la sua famiglia vi si trasferì da Greve in Chianti. Era il 1953. Una grande famiglia di mezzadri: sotto lo stesso tetto vivevano in dieci, fino al suo biscugino. Il piccolo Maurizio fece amicizia col coetaneo figlio del padrone. Me ne parla all’indomani della partenza da questo mondo di Bernardo Bertolucci, e non è possibile non ripensare a Depardieu e De Niro in Novecento. “Da bambini le differenze, di qualunque genere, non si sentono.” chiosa. Ma, cresciuto, Maurizio cerca una strada diversa da quella familiare. Lavora per 6 anni alle fornaci dell’Impruneta, poi trova un impiego alla Manetti & Roberts, ove rimane fino alla pensione.

Il talento e l’urgenza di creare bussano alla sua porta fin dall’inizio degli anni ’70. Extra lavoro, produce ceramiche, partecipando a mercatini. Finché non sorge il Gruppo Pittori Imprunetani, in seguito il gruppo Art Art di cui oggi è consigliere, e che lo vedrà sin dall’inizio tra i suoi protagonisti. È degli stessi anni l’incontro con Gianfranco Mello. “Di estrazione ben diversa dalla mia” racconta Maurizio. “Era figlio d’arte, il babbo era stato un importante scenografo teatrale, e lui aveva già esposto anche negli Stati Uniti, mentre io ero agli esordi e venivo da una famiglia contadina. Ma anche in questo caso, come fossimo stati ragazzi, nessuno dei due sembrò accorgersene. Si interessò ai miei lavori. Apprezzava, diceva, il mio spiccato senso del colore. Lavorammo insieme, andavamo a dipingere en plein air. Ho imparato tantissimo da lui, e non solo sul piano strettamente pittorico, ma anche su quello umano e filosofico. Finché mi raccomandò di camminare con le mie gambe e seguire la mia strada”.

Questa strada conduce Maurizio a una serie di partecipazioni a esposizioni in compagnia di alcuni dei nomi più attivi e celebri a cavallo tra anni ’80 e ’90. Una soddisfazione la ebbe quando fu tra i segnalati del Premio Pittura di Panzano 1983, vinto da un artista del calibro di Ugo Attardi. La sua prima personale, nel 1986, ebbe la presentazione di Carmelo Mezzasalma, oggi Superiore di quella Comunità di San Leolino che da dicembre 2017 gestisce fra l’altro la Certosa fiorentina. Scrisse tra l’altro Mezzasalma:

Perché la pittura di Maurizio Biagi non nasconde le metafore dell’esistenza, le piaghe del vivere, l’acuto grido della carne: il ritmo del suo canto e il colore che si dispone nell’esatta e cangiante metamorfosi di quel presente l’accende e lo placa nell’intrecci d’un movimento così fisso e mosso al contempo da non tradire mai il fondo della sua espressione. Quel fascio di ginestre, nell’improbabile e pallido cobalto del cielo, nasce da un groviglio di radici naufragate nello spazio profondo e senza nome che rimanda, per opposizione, nell’immobile presenza dell’astro teso a racchiudere le avvolte penombre della natura, una natura della mente e dei sensi.

Il 1990 sarà forse l’anno d’oro per Maurizio: parteciperà alla mostra di affreschi su cotto nella Sala d’Armi Buondelmonti all’Impruneta, e alla 17^ Rassegna sestese di pittori grafici scultori. Esporrà insieme con artisti quali Silvio Loffredo, Enzo Faraoni, Gualtiero Nativi, Vinicio Berti, Sergio Scatizzi.

Maurizio mi porge il catalogo di una mostra dal titolo Pittori e scultori imprunetini, senza data, e neanche lui la ricorda con precisione. Devono essere gli stessi anni, e sfogliandone le pagine mi rendo conto una volta di più di quanto la vita artistica in provincia sia (sempre stata) viva e ricca di idee, non di rado innovative e stimolanti. Non tutto è naturalmente dello stesso livello, ma non c’è da sorprendersi se l’attività del gruppo Art – Art è dal 2005 addirittura frenetica, e nel relativo sito vi sono le galleries di – salvo errore – 71 Autori tra pittori, grafici, scultori e fotografi.

Allo scadere del millennio Maurizio Biagi attraverserà un momento di crisi artistica. “Dal 2000 al 2010 ho prodotto poco, e pensato tanto. Da un lato, il figurativo mi era diventato stretto.” E mi mostra Nuovo iter, dipinto che fece per lui da spartiacque. Mi torna alla mente il Primo acquerello astratto di Kandinskij, ma lui si schermisce, e continua: “Dall’altro, avevo iniziato una riflessione sul secolo appena terminato. Questo secolo in cui gli artisti si erano definitivamente liberati dal vincolo della produzione su commissione. Questo secolo che aveva prodotto l’informale, la pop art, lo spazialismo, l’action painting, il materico… te li dico alla rinfusa, ma sono tutti stili dopo la cui comparsa non ci si può più permettere di dipingere come duecento anni fa. Il mio intento, forse un po’ ambizioso, era diventato quello di trovare una forma stilistica che racchiudesse, che sintetizzasse tutto il ‘900, almeno attraverso e secondo la mia visione.”

Una ricerca, dunque, preparata da anni con cura, riflessioni e continui ripensamenti, ma iniziata realmente intorno al 2012, e che prosegue tuttora. In modo del tutto naturale, quasi come in una dissolvenza incrociata, lo stile di Maurizio è approdato all’informale. Lo spiccato senso del colore di cui parlava Mello, oltre a una continua e autentica meditazione sul pigmento, ha originato le sue opere monocrome. “Sul cotto è possibile fissare il pigmento puro, senza bisogno di solventi. Ci pensi? Pigmento, nient’altro che pigmento. Colore, nient’altro che colore.” Ed ecco i monocromi che in certe sue installazioni sembrano talvolta atomi di un organismo di proporzioni immense. Atomi. Elementi base. Punti di partenza. Mentre i suoi affreschi ci parlano, volendo proseguire la similitudine, di molecole. Più o meno complesse. Che diventano, su grandi superfici, altrettanto grandi molecole organiche. Punti d’arrivo? Non ancora. Il viaggio di Maurizio è ancora lungo e, nonostante le numerose, splendide tappe compiute, promette nuove mete.

Paolo Marini