Paolo Drovandi

Paolo Drovandi, pittore autodidatta, non ha mai smesso di lavorare attorno alla figura, avendo chiaro che null’altro attrae i sensi quanto questo fenomeno irrisolvibile che è l’immagine.

Nel figurativo c’è tutto. Partendo da qui, per Drovandi, il lavoro del pittore sta tutto nell’attenta preparazione della tela, unico punto fermo e ragionato del mestiere e poi, lasciare il fenomeno sorgere in un qualche modo misterioso, attraverso le coincidenze, i contrasti fra il gesto e la materia, il colore.

Questo il rapporto essenziale di Drovandi con la pittura, duale, biunivoco che allude con chiarezza alle figure di due grandi pittori figurativi che lo hanno decisamente influenzato. Due pittori fra loro vicini e distanti al contempo, come due occhi a formare un “solo” sguardo, sguardo con cui Drovandi cerca di scorgere e fermare qualche autentica immagine sulla tela. Bacon e Balthus. Due vie per arrivare da diversi piani alla sensazione, alla figura. Ambedue avevano in comune l’approccio mistico e fatalista alla pittura, la tela bianca. Istinto e meditazione. Due vie per una meta comunque ardua. Forse è qui che Drovandi cerca di condurre il suo lavoro, nella combinazione di elementi contrapposti, abitualmente considerati fuori sincrono.

Da uno dei temi più classici, nella storia dell’arte, il ritratto (che Bacon ha scompaginato, rimesso in discussione quanto la figura, l’immagine, l’identità nel suo insieme in realtà) di lì, alla ricerca di un immagine quanto più possibile vicina ad una somiglianza disorganizzata ma, in grazia di ciò, quanto più viva e diretta.

Drovandi avvicina così, al se, i suoi soggetti cercando di coglierne l’essenza figurale e, allo stesso livello, come puro evento e questo, con un preciso intento “eventuale”.

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Paolo Drovandi