Sandra Levaggi

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La pittura di Sandra Levaggi

La pulizia rigorosa, l’epurazione e la riduzione di ogni luogo ad una sorta di spazialità elementare tesa e lucida: queste caratteristiche della pittura di Sandra Levaggi fanno da pendant ad una scelta cromatica rigorosa, ad un registro di colori refrattari ad ogni flessione tonale. Ma l’assenza della figura umana, la contrazione degli elementi in gioco, il  centrare l’inquadratura, in modo che la natura si subordini sempre ad un ordine, non sono soltanto un teorema spaziale.  Tutto ciò ci riporta ad una scelta estetica ed etica precisa che ambisce a tradursi integralmente  nella chiarezza elementare e cristallina della forma. La percezione, che comunemente si considera un’immediata e quasi inconsapevole registrazione del dato ottico, è invece, secondo Sandra Levaggi, un fatto complesso con una struttura ed un  suo processo.  Ora  sappiamo che questa struttura è stata deformata da pregiudizi ereditari, derivati a loro volta dalla difettosa squilibrata  composizione della società. La salvezza non è, non può essere, quella della ricerca  di una sensazione immediata: la tesi  dell’occhio innocente non convince  e non per caso Sandra Levaggi  non ha più simpatia  per  la scelta operata a suo tempo dagli Impressionisti.  Al contrario: bisogna ricostruire e rettificare il processo della percezione, correggere le storture di una  falsa educazione visiva che  a sua volta riflette le storture di una falsa educazione morale. Occorre  insomma eliminare tutto ciò che tende a chiuderci nel cerchio della nostra  ambiziosa individualità e ci vieta di partecipare alla vita e al progetto collettivi. L’arte è lo strumento di questa necessaria rieducazione: lo scopo immediato  è distaccare l’esperienza sensoria dalla sfera degli impulsi inconsci e riscoprire nella realtà i segni di una possibile armonia. Saper scorgere la razionalità nel confronto, nel venire a patti con le cose:  la pittura della Levaggi  trascende il mondo, ma non se ne allontana e non  ne  prescinde. Anzi, si misura con esso. Lo riequilibra. Si può parlare per questa pittura di un clima metafisico, di una  sorta di metafisica dell’assenza: di agganci se vogliamo, con la tradizione dechirichiana. Si può anche fare riferimento a certe esperienze pittoriche americane, quelle dei  Precisionisti (si pensi a Charles Demuth o a Charles Sheeler), seppure  nelle loro opere l’ordine sembrava implicato, o imposto a priori, dai paesaggi industriali ritratti. Ma forse è ancora più pertinente, e non stupisca, il riferimento all’esperienza dell’astrattismo storico, soprattutto per quel sottofondo utopistico e morale  che  la attraversava e la motivava (si pensi in particolare a Mondrian).

Tuttavia, di là di questo o quell’altro possibile rimando, a nostro  avviso qualifica questa pittura una onnipresente volontà di ordine: il non volersi arrendere all’orizzonte delle cose, la continua tenace aspirazione appunto a trascenderle.

Fabrizio Breschi

( Prof. Accademia di Belle Arti di Carrara)

(Accademia di Brera)