Massimo Zampedri

Pingendi Artificem

Massimo Zampedri  è nato a Genova nel  1965.  Architetto, Dirigente in materie urbanistiche, vive a Giano dell’Umbria, una località prossima a luoghi quali Assisi, Spoleto, Trevi, Campello sul Clitunno.

massimozampedri@gmail.com

L’attività artistica prende forma negli anni ’80, come autodidatta,  durante gli studi per la maturità a Spoleto, dove scopre un’attrazione particolare per la carta che raccoglie e ricicla per “costruire” supporti “artigianali” incollando le carte recuperate in strati sovrapposti che poi diventano fogli spessi, rigidi, materici, dove la bianca superficie lascia a tratti il posto “a ciò che la carta stessa aveva già impresso” come una sorta di collage-mosaico studiato, anche se casuale. Queste “carte artigianali” (che ama definire esse stesse “opere”), cominciano a diventare anche disegni (matita, carboncino, china e accenni di colore). Opere inizialmente incompiute, spesso anche “rinnegate” a tal punto che, in una sorta di ripensamento, vengono in parte nascoste con stucco e gesso, sul quale poi riproporre altri “di-segni”. Si delinea così quella particolare tecnica che ha caratterizzato la sua evoluzione artistica: materia “grezza” che fa da base a segni di matita, fusaggine e pastelli che accennano agli elementi del dipinto poi “soffocati” dalla sovrapposizione di strati di altra materia (gesso, stucco, etc.) dipinti ad olio o acrilico o pastello.

Alla fine degli anni ’80 comincia a prefigurarsi quella particolare tecnica che caratterizzerà poi la sua evoluzione artistica e la sua continua sperimentazione e ricerca: matita, grafite, pastelli, carboncini, fusaggine, acrilico ed olio su “carte artigianali” (i suoi supporti alternativi alla tela) con inserti di gesso, stucco, juta, corda ed altri materiali. Tecnica da osservare da vicino per apprezzare anche i minimi dettagli come le pieghe della carta grezza che, inumidita dal colore, sembrano far muovere il dipinto. La sua regola si ispira al motto “cogliere l’attimo in cui gettare il colore, senza attese e ripensamenti ” ove l’unica eccezione all’immediatezza sono una sorta di appunti, schizzi, minute, abbozzi, brogliacci, canovacci, tracce che vengono impressi nel retro del quadro (il verso) che diventa anch’esso parte integrante e sostanziale dell’opera. Tutte le sue opere sono “autenticate” sia nella parte dipinta, che nel retro, dalla sigla (MZ) seguita da un numero di otto cifre (12345678) e dalla firma autografa.

 Le sue opere sono caratterizzate da contenuti artistici e segni “inconfondibili”. In primis “gli occhi” (i sentimenti) che aleggiano e ti guardano in ogni dipinto. Il significato di questi occhi, sempre ricorrenti nelle sue opere come una sorta di “cifra”, si può capire, e non potrebbe essere spiegato meglio, da una sua poesia dal titolo “dipinti” scritta nel 1989: “……sono strani i miei dipinti. Nei miei dipinti non c’è vita. Vita intesa come “esistere”…. Ci sono soltanto dei volti. I volti dei sentimenti. Ed hanno occhi, naso e bocca, come i nostri volti…… E da ciò che ascoltano, da ciò che guardano e annusano, nasce la loro espressione. Ed è l’espressione dei sentimenti…. E questi miei sentimenti, non sono liberi. Ma forzatamente racchiusi. Racchiusi nel triangolo della follia, o nel rettangolo della ragione. E dalle loro celle comunicano, ma il loro linguaggio è strano, fatto di segni e simboli strani. Ed io non riuscirò mai a capirli……”.  Ci sono poi i “versi” dei suoi quadri, cioè il retro del quadro stesso, dove spesso sono presenti schizzi, getti di colore, prove, nonché frasi, pensieri e citazioni (un quadro “dietro al quadro”). I suoi temi artistici sono fortemente ispirati dai classici della letteratura e della musica (in particolare l’opera di cui è grande appassionato). Attratto anche dalla letteratura classica fantastica e da luoghi e personaggi mitici che ne hanno ispirato e continuano ad ispirare opere, può definirsi un inventore nobilissimo et maraviglioso di cose fantastiche e bizzarre (come il suo idolo Bosch). Immancabile il suo approccio anche verso la natura con una importante serie a cui tiene molto detta “Botanica” e tanti studi sui colori e sulle loro manifestazioni naturali. Emerge in sostanza una grande passione per l’arte ed in particolare per le arti grafiche e figurative in cui però tende a voler sintetizzare le idee ed i concetti attraverso simboli ai limiti del minimalismo in cui prevale l’umiltà della pittura che deve esprimersi mediante un connubio armonioso tra colore e materia che si fondono creando “ermetiche visioni”. Non a caso si definisce “pingendi artificem” (artigiano della pittura) e definisce la sua arte “simbolsoggettivideista“. L’immagine dipinta deve rappresentare una realtà che non esiste ma è frutto di un’idea di quella realtà filtrata dal sentimento dell’artista.

“Ogni mia opera è già dentro di me… io la vedo perfetta ma quello che riesco a tirar fuori quando dipingo è solo una piccola parte. E mai la migliore”.

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Nell’opera di Massimo Zampedri (Pingendi Artificem) la carta, decontestualizzata, diventa protagonista di un processo artistico che porta alla realizzazione dei suoi lavori. Una sorta di duchampiani ready-made aulici e poetici che danno vita, attraverso una tecnica mista molto originale, ad un mondo fatto di colori e forme, di simboli e di idee, dove impressioni, pensieri, idee che mai si fermano, ma con fermento evolvono e raccontano il suo “Io” narrante più intimo e personale e le motivazioni e le intenzioni che lo spingono ad esprimere ed esprimersi.